Questo spettacolo è fondamentale, per me, per due motivi: il primo è che – una volta tanto – ho provato molta felicità nel realizzarlo. il secondo, ve lo dico dopo.
Provare felicità nel realizzare un’opera teatrale, è un sentimento che il più delle volte mi è negato. credo che dipenda da tante cose, ma azzardo a dire che forse nell’eccesso di spleen creativo c’è un surplus di narcisismo, che finisce per tarpare la libertà creatrice. Se nel caso di Sonno ho potuto sentire la gioia della creatività lo debbo in gran parte a Massimiliano Civica. in quel tempo faceva il Direttore artistico alla Tosse di Genova, e l’incontro con lui corrisponde al mio primo incontro (vero e proprio) con un vero e proprio direttore artistico. Non si accontentava mai della mia prima idea, per buona che fosse. Voleva che io facessi qualcosa che non avevo ancora avuto il coraggio di fare. Voleva che io mi sfidassi. Che mi mostrassi a lui spaesato ed entusiasta. Quando proposi Jon Fosse lui mi disse che l’avevo già fatto tre volte, e che i casi erano due, o lo facevo in modo del tutto diverso e libero, o dovevo pensare a qualcos’altro. Un vero direttore artistico ha il dovere di farti incazzare, infatti mi incazzai non poco. Ero deciso a lasciar perdere. come si permetteva, pensavo, di dirmi cosa fare e come? ma mentre pensavo a come uscirne fuori, la parte più nobile e coraggiosa del mio cervello fece un colpo di stato, e così il giorno in cui finalmente mi decisi a scrivergli che rinunciavo al lavoro, accadde tutto il contrario e gli scrissi una lettera piena di idee su come avrei realizzato lo spettacolo. Sonno è uno dei miei lavori preferiti, perché dentro non c’è un grammo di paura. Mi dispiace che sia rimasto solo a Genova e che così poca gente l’abbia visto. ed ecco qual’è il secondo motivo per cui questo spettacolo è importante, per me. Ma non è un bel motivo. Dipende proprio dal poco pubblico che ci veniva a vedere. lo spettacolo era molto apprezzato, riceveva critiche entusiastiche, e perfino io penso che fosse piuttosto bello. ma la sala era sempre mezza vuota. si cercavano scuse, tipo che era primavera, o la crisi economica… Ma io cominciavo a sentire con certezza che il pubblico italiano ormai mostrava un grave disinteresse per la drammaturgia contemporanea. un autore come Fosse, non aveva più speranza alcuna di attirare un numero di spettatori sufficiente a giustificare l’amore e la fatica che impieghiamo nel nostro lavoro. per la prima volta mi posi il problema del pubblico. e mi dissi che mai più avrei tollerato di recitare dinnanzi a platee semideserte. che il nostro mestiere ha senso solo se incontra il pubblico. il quale in questo periodo mostra di non gradire esperienze troppo diverse da ciò che crede di conoscere. non sono io il giudice del pubblico. né il suo maestro. io vivo nella mia epoca. non l’ho scelta. non posso più raccontarmi balle. il teatro senza pubblico è un controsenso. non voglio più vivere dentro a un controsenso. l’esperienza di Sonno mi ha dato tanta bellezza, e io la sentivo vibrare dentro di me, già come fosse un amore perduto, mentre – alla fine della penultima recita, telefonavo al direttore dell’Eliseo, che aspettava da me un progetto nuovo, e gli dicevo che saremmo andati a stanare il pubblico nel cuore del ‘canone popolare’, e avremmo fatto Romeo e Giulietta!
Sonno è il mio ultimo spettacolo fatto con una certa attenzione per l’opinione dei critici. Da allora in poi mi sono sempre rivolto solo al pubblico, con lo scopo di farlo ridere e piangere ( e ritornare). Dalla sconfitta di Sonno è nata l’idea della Popular Shakespeare Kompany. Che ritrova il teatro contemporaneo nel repertorio classico.