Come nasce
Dicembre 2012Tutto nasce da un lungo viaggio. Un viaggio pensato per non tornare. Una vera fuga dal mio Paese, e quindi dal teatro… In quei giorni leggevo un libro di Rade Serbedzija, il grande attore e regista Jugoslavo. Leggevo le sue storie di teatro, meravigliose, e mi domandavo: cos’è che mi colpisce in questo libro, più di altre biografie di attori importanti? Che cosa mi commuove misteriosamente? La risposta, dopo un po’, è arrivata. La voce di quel libro non mi giungeva da un divo dei grandi Paesi ricchi, da sempre sotto le luci della ribalta, ma da un attore poco conosciuto in Italia, che raccontava storie di teatro di un Paese martoriato, povero, totalmente senza speranza. Peggio del mio. E tuttavia le raccontava con straordinario orgoglio, con un amore così profondo e disarmante da farmi sentire con chiarezza quanta nostalgia io avessi dell’amore per il mio mestiere, che ultimamente mi pareva del tutto scomparso a causa del disprezzo crescente che provavo per il mio Paese. Ho capito che il disprezzo non deve mai avere parte nella vita di un artista. Né la lagnosa rassegnazione per le opportunità negate . E che noi teatranti non apparteniamo veramente a nessun Paese, a nessuna epoca, ma solo al Teatro. Piano piano ho cominciato a non vergognarmi di voler essere attore in un’Italia in agonia. A non sentirmi indegno dei grandi artisti se dovevo miseramente ingegnarmi per fare miseramente il mio lavoro. Anzi, ho sentito la voglia di fare di più. Di lavorare a un grande progetto per contrastare – come posso – l’aggressività dei demolitori della cultura nel mio Paese.Finalmente so con certezza che chi, come me, è attore, non dedica la sua arte a niente altro se non a un’idea sconfinata di Teatro, che poi è un’idea di mondo e di Umanità. Ognuno di noi ha avuto dalla sorte un tempo e un luogo. Non importa quali. Sia questo nostro tempo che questo nostro luogo vanno amati, perché è in essi che ci è stato dato il Teatro. Questa nostra arte ha in sé una forza micidiale, invincibile, ed è la forza della vitalità. E se c’è una speranza per il nostro Paese è nella vitalità. Non importa come. Importa solo non nasconderla quasi fosse una colpa. Non nasconderla mai più. E pensare che non ci sono più scuse per noi, neppure l’agonia storica in cui viviamo, che compromette duramente ogni tentativo di rinascita culturale. La Popular Shakespeare Kompany non è solo un progetto artistico, ma è anche un progetto ideologico, dunque. Nasce grazie all’energia di artisti e collaboratori che desiderano fare ancora il Grande Teatro, e di farlo nell’epoca della sua condanna, della sua impossibilità. E’ un’idea di teatro ‘ecologica’, non inquinante: non ci sono sperperi di denaro, non c’è politica, non c’è routine, non c’è bugia. C’è il Teatro come deve essere: festoso e disperato. Ed è con festosa disperazione che stiamo lavorando per dotarci di un repertorio classico, perché è nostra convinzione che il pubblico contemporaneo vada in qualche modo riconnesso con la tradizione della Festa, quella Festa dell’Umanità che è poi la Tradizione del Teatro. I grandi autori abitavano un mondo pieno di fiducia per l’arte e la loro era una grande arte piena di fiducia per il mondo. Ecco perché la gente ama i classici, a teatro, e sembra non stancarsi mai dei celebri titoli, delle famose antiche storie. C’è un bisogno di favola che solo i grandi classici come Shakespeare possono continuare ad offrire al pubblico. La Popular Shakespeare Kompany si ispira alle grandi compagnie del passato. Il teatro è una forza del passato. Il teatro ha un rapporto magico col passato dell’umanità, e la sua missione artistica è quella di perpetuarne il presente. Il teatro è un ‘tempo presente’ che non finisce mai, attraverso i secoli. E la sua magia si chiama recitazione. La Popular Shakespeare Kompany è una specie di laboratorio sempre aperto sui temi legati alla recitazione. La recitazione è infatti l’unico aspetto del teatro che subisce mutazioni importanti nel corso del tempo, perché evidentemente cambia la percezione dell’animo umano da parte della gente. Cambia per restare uguale, ma cambia. Nel secolo scorso gli studi sulla recitazione sono stati imponenti e importanti, creando un filo capace di collegare la tradizione antica con la complessità dell’uomo contemporaneo. La Popular Shakespeare Kompany lavora perché anche quel filo non vada spezzato. Gli straordinari attori di cui la nostra compagnia è dotata sono una risorsa importante per il Teatro, e sappiamo che le risorse vanno rispettate e tutelate. Anche in questo abbiamo un approccio ‘ecologico’ alla nostra arte. Sappiamo bene di non fare nulla di speciale, e che il nostro non è nulla di più e nulla di meno che un normale tentativo di fare del buon teatro. Ma non sono tempi normali. Non siamo in un Paese normale. Tra i mille modi di opporsi all’agonia, quello che ci pare più bello e rispettabile è aprire ancora una volta il sipario sulla favola dell’umanità. Che di favola si nutre. E che di favola è degna. Con queste premesse, il primo spettacolo della Popular Shakespeare Kompany non poteva che essere La Tempesta: questa favola malinconica che parla della fine del mondo, e lo fa in modo assurdamente euforico e disperato, con allegria di naufraghi. Naufraghi noi stessi, siamo partiti da quell’isola deserta per ritrovare la via di casa. Sappiamo benissimo che non c’è più . Ma noi teatranti siamo persone a cui piace andare...
Dedichiamo la nostra nascita:
alle White Stars, che suonavano mentre il Titanic affondava;
a Rade Serbedzija;
a tutti quelli che, come Nina, scappano da casa per fare gli attori;
ai maghi;
ai poeti;
ai bambini.
(e a Geraldine)
Valerio Binasco
Presentazione del Progetto PSK
Il Corriere del 24/7/2012